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LA MADONNA DELLE SCALETTE

Giuseppe Toigo


Croci e capitelli sono la più autentica testimonianza di quel mondo contadino che viveva in maniera schietta e semplice gli ideali religiosi; testimonianza, però, tanto carica di fascino quanto di mistero, per cui non sempre vi emergono i contorni nitidi della storia.
Bisogna infatti partire dall'idea che tutto ciù che è popolare assai raramenti trova riscontro in documenti, perchè la storia di popolo non è pagina scritta, ma vita vissuta, emozioni che spontaneamente si traducono in atti, legno e pietra lavorati e strutturali in dorma di oggettti o di somboli visivi.
Essa è anche in particolare, memoria che si tramanda, con tutte quelle contraddizioni e incongruenze che dipendono da una molteplicità di fattori umani e temporali.
Mentre il tempo attenua e sbiadisce, l'immaginazione aggiunge e trasforma, e conferisce al fantastico parvenza di oggettività; un evento straordinario diventa miracolo e il miracolo infiamma di nuovo zelo gli animi sempre oscillanti tra sacro e profano, tra fede e superstizione.
Sul capitello della Madonna delle Scalette, leggenda e storia si confondono talmente che il vero sfugge a ogni tentativo di accettarlo.
Ma concentriamo l'attenzione sullo strano masso granitico, approssimativamente ovoidale, postovi a fianco sul lato di Arten, fra i due cancelli di accesso alle vigne soprastanti.
Essa non è una croce in ''memoria'', ma conferisce nel suo libretto di note e ricordi fonzasini il dottor Angelo Vigna(1), il quale racconta di un agguato teso da banditi ad una comitiva di passanti che tornavano da Feltre e terminato con l'uccisione di un certo Domenegato.
Egli aveva raccolto la notizia da un'anziana donna che prestava cure al capitello un fiorno in cui lui, ancora giovane, camminava con un amico lungo la strada vecchia.
''Di notizie ne riferiva molte e spontaneamente - mi scrisse alcuni anni fa da Baselga di Pinè – con tenta che noi la stessimo a sentire''.
E ben disposta a parlare, quella donna raccontava di un ex voto recato come ringraziamento alla Madonna della Scaletta da coloro che erano riusciti a scampare al pericolo e indicava la data che suo nonno,scalpellino a Fonzaso, avrebbe inciso sul sasso.
Ho appena accennato alle molte distorsioni di una tradizione esclusivamente orale, che deve essere accolta con cautela e solo dopo averla lasciata ben sedimentaare.
Quale data, infatti?
Perchè su una faccia del sasso (l'altra reca un nome soltanto) le date scolpite sono due e sono accompagnate da scritte.
Per chi fosse attratto dalla curiosità e volesse constata tre di persona, le ho recentemente pulite e rese più leggibili evidenziandole con un segno leggero di vernice bianca.

Scritte sul masso

Prima di procedere, osservo appena che nulla toglie alla possibile veridicità del racconto della solerte donna, ma che i fatti eventualmente accaduti non hanno alcuna attinenza con il pesante masso scolpito.
Sulle date e sulle scritte s'ingannò anche Regina Canova Dal Zio, che nella schedatura dei capitelli della zona si chiede se quel RIPOSTO no sia sinonimo di ''rimesso'', riferito al blocco di pietra o di ''ricostruito'', riferito al capitello.(3)
Precisiamo subito la questione: fino agli ultimi anni del '700, quando la proprietà privata era ancora troppo mal distribuito, le leggi venete prevedevano l'assegnazione di porzioni fi territorio, i cosidetti beni comunali, ai contadini non abbienti di una comunità.
Se dislocati sulle cime dei monti, tali beni servivano per il pascolo degli animali minuti; sulle coste ripide e ghiaiose consentivano l'utilizzo della legna o la zappatura, sul piano si prestavano al taglio dell'erva o alla coltura delle biade. (4)
Senza entrare nel merito delle frequenti indebite usurpazioni, cui i rettori veneti sovente accennano, seguiamo la vicenda delle liti; liti aspre e interminabili non tanto fra privati, ma fra abitanti dei villaggi arrigui: fra Lamonesi e Faleroti, per esempio; oppure, tra Faleroti e Fonzasini, Fonzasini e Arteniesi, tutti uniti, all'interno della singola comunità, nella disperata difesa del diritto alla sussistenza.
I giudici compromissari, accompagnati da periti e deputati (questi ultimi eletti dalle rispettive partu in causa) si recano nel luogo della contesa; controllavano, ridefinivano i confini e in nome di Cristo e della Vergine ;aria emettevano la sentenza, non prima, però, di aver fatto incidere sui termini divisori la croce, quale supremo richiamo al rispetto delle decisioni prese in nome si Colui da cui precedono giusti e infallibili giudizi (recta et infallibilia procedunt iudicia).(5)
Se dive supporre che gli animi subito si rappacificassero, ma quando la pecora sconfinava o un taglio di legna non seguiva la linea retta stabilita, le controversie rirepndevano.
Fu a causa di un'ennesima rivendicazione di antichi diritti lungo le coste del Monte Avena che il 27 maggio 1805 i giudici di Carlo Taola e Cristoforo D'Agostini sentenziarono che Fonzasini e Arteniesi si attenessero alle ''molteplici uniformi sentenze emanate in diversi tempi'' e ''segnata del Signor Valeriano Angeli 27 giugno 1735''.(6)
Ecco le date che interessano:1635 e 1735 – sono le stesse che si vedono scolpite su una faccia del sasso intorno al quale finora si è ragionato, per cui è chiaro che esso altro non è un sasso di confine.
Ad ovest, lungo la linea retta che finiva sul temine del Coston d'Avena (termine tuttora segnato sulle mappe, ma non più individuabile, a causa dell'incendio di vent'anni fa) si estendevano i fondi comunali di Fonzaso, ad est quelli di Arten.
Ora incomincia ad avere una storia anche il capitello, poichè è indubbio che con il termine di pietra che gli è a fianco, anch'esso assolve, tra le altre, a una identica funzione. (7)
Mentre infatti l'autorità pubblica sceglieva per i suoi scopi spigoli e tracce naturali o grandi blocchi inamovibili, i contadini nudi di sostanze o a malapena aggrappati a lembi di superficie sassosa, gravati di balzelli e vessati da leggi ingiuste, soggetti alla terra e si essa nati per patire, contrassegnavano i punti strategici del comune spazio vitale con i loro unici segni di certezza e di speranza.
Quando nel 1921 la curazia di Arten sarà elevata a parrocchia, i vecchi confini che separavano la proprietà fra le due comunità civili limiteranno anche le pertinenze fra le due comunità religiose facendo cadere antiche rituali consuetudini.
Muterà percorso, da quella data, la rogazione che da Fonzaso giungeva al capitello per terminare a San Nicolò, mentre invece sarà la nuova parrocchia con la sua seconda processione penitenziale a salirvi, sostare per le preghiere propiziatorie e la benedizione ai campi e volgere per la Crosera e Traverser fino alla chiesa.
Nella società agricole il senso di coesione tra persone dello stesso ceto era vivo e la pratica della solidarietà estesa, per cui ogni cosa era frutto di volontaria partecipazione e di scambievole aiuto.
Nelle manifestazione esteriori della fede lo era una croce eretta su una balza di monte, un modesto tabernacolo o un ambizioso manufatto di pietra.
Il capitello della Madonna delle Scalette, di elaborata fattura, sarebbe non solo opera di popolo, ma, stando alle memorie trasmesse dai vecchi di San Nicolò, vedrebbe direttamente direttamente interessata la ricca famiglia dei Ciaro.

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Dei Ciaro ovvero dei De Boni, non si trovano proprietà denunciate all'estimo del 1717.(8)
Si rinvengono tracce, invece, nei registri anagrafici della seconda metà del '700 e soprattutto nell'800.
Sono onorati con l'appellativo di Ser (Signore) che li distingueva dal popolo basso; figurano sempre come possidenti di civile condizione e con altri possidenti normalmente di imparentano accrescendo via via il patrimonio.
Alla chiesa essi danno vocazioni femminili e maschili.
Per un periodo di tempo, a partire dall' '800, sarà un don Antonio De Boni che battezzerà i nati del suo parentado.

masso

Informo anche, ma solo tra parentesi, che intorno al 31 un altro sacerdote, suo omonimo, sarà sottoposto al controllo del superiore per via di una certa ostinata persistenza nell'assai comune vizietto di bere. Cosa, tuttavia, che non gli impedì, insieme con altri due fratelli, dei quali uno, come lui consacrato a Dio, di fare un lascito generoso ai diseredati del paese.
Dal 1847 al 1879 sarà arciprete don Angelo De Boni.
Era privilegio delle famiglie nobili, ma nel 1877 riusciranno anch'essi ad avere il loro piccolo oratorio domestico provvisto dell'occorrente per la celebrazione della messa.(9)
Le loro proprietà si estendevano ormai su larghe fasce della montagna e della campagna.
Ad Arten, ed è quello che fa al caso, ne possedevano tutt'attorno a San Nicolò: dalle Vignole, al Col, al piano sottostante, e vi avevano la casa padronale con stalla e abitazione colonica.
Ritorniamo ora sul capitello. La struttura è quella di un manufatto rustico, ma con una sobria ricerca di effetti architettonici.
La vergine, nonostante il sovrapporsi di vari e approssimativi ritocchi in occasione dei restauri, rivela ancora il suo originale decoro: figura snella, tratti gentili, viso dolce ed espressivo.
Con il bambino e le testine di angioletti armoniosamente disposte, forma un insieme che presuppone un affrescatore sensibile e uso al pennello.
Singolare e indicativo anche lo spazio che l'edicola occupa: un tratto di carrareccia pubblica per tutta l'ampiezza del pronao, una parte di suolo privato (ora mappale 192) per la lunghezza della scalea. (10)
Sul muricciolo che di quel mappale esclude la punta ovest, ora ridotta non più che a scapata incolta, rimangono ancora, a copertura, cinque lunghe pietre in parte lavorate.

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Come ricordo bene le scivolate lungo la superficie levigata, con i ragazzi della contrada! Un sasso liscio e scorrevole ad uso di cuscino, un colpo secco di reni e giù, in precario equilibrio, pronti ad evitare con una capriola l'urto contro il pilastrino finale.
Ci stupivamo, a quell'età, che pietre così grosse e dure si fossero usurate per n gioco di ragazzi.
Ma non era e non poteva essere così anche se bisognava attendere che l'occhio diventasse più attento e più esperto per osservare che ciascuna di esse era forata superiormente in entrambi i lati corti. Interrate, pertanto, con la parte grezza e lasciate a vista con la parte levigata, un perno rigido infilato tra foro e foro le avrebbe tenute allineate e livellate per abbellire aiuole di giardino.
Per questo particolare (perchè è chiaro che esse non potevano provenire da tuguri contadini) e per gli altri, appena sopra accennati, difficilmente si può quindi pensare all'edicola come a un'iniziativa isolata di popolani senza mezze e senza appoggi e pertanto le covi che correvano a San Nicolò possono ritenersi non prive di fondamento.
Ma, allora, la Madonna delle Scalette rivelerebbe anche la sua età: non molto lontana nei secoli, perchè tale non era neppure la radice dei facoltosi Fonzasini, ma riconducibile, se non altro per lo stile, alla fine del '700 o algi inizi dell' '800.
Un po' appartata, ma non tanto da non essere familiare, in posizione elevata e immersa tuttora in un agreste silenzio, essa domina per largo raggio i prati e i boschi degli abitanti di Arten.
Un tempo quando la retta non era stata sconfitta dalla fabbrica e i contadini si contendevano pacificamente la zolla o il pugno di erba lungo le viottole, a questa Vergine dei campi e non ad altre giungevano in lunga processione a chiedere la pioggia benefica nell'estate riarsa. Eppure, nessuna intitolazione essa aveva mai avuto la distinguesse per un particolare potere taumaturgico, come la vicina Madonna delle Grazie o del latte di San Nicolò. (11)
I quindici gradini che bisogna salire per poterci accedere l'hanno resa nota a tutti con il titolo, semplice e affettivo, di Madonna delle Scalette.
Giusta custode dei confini, forse già dalla famosa sentenza del 1805, essa è stata anche imparziale ascoltatrice di un gran numero di gente di ogni provenienza e di ogni condizione che passava e sostava: anonimi raccoglitori di elemosine, venditori ambulanti di piccole cose, carrettieri con i loro carichi di legname e di baghe(12) o di quant'altro serviva per esigenze di una società parca di consumi.
Ma prima che la vita imponesse ritmi e interessi nuovi, fino a lei arrivavano anche grotte di bambini vocianti e adolescenti innamorati che ricoprivano i muri con i segni e le scritte delle segrete palpitazioni.(13)
Se si volesse, a questo punto, toccare anche quella pruriginosa e campanilistica quetione che riguarda la proprietà del capitello (questione peraltro poco pertinente e del tutto marginale, trattandosi di un simbolo di fede e non di un bene materiale) mi parrebbe il casi di dire soltanto che, a prescindere dalla sua collocazione di qua, anzichè di là dal termine divisorio, esso è sempre appartenuto alla storia, alla tradizione e agli affetti, soprattutto agli affetti, dei contadini di San Nicolò e di Arten.(14)
Non stupisca, pertanto, il loro modo di pensarla, mentre pregavano dal basso della loro condizione, come una di loro; di attribuirle i gesti e i sentimenti propri di ciascuno di loro. Solo così si può spiegare, senza riderne, quella impossibile e illogica credenza che per essi era verità.

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Erano peruasi dunque, che questa loro Madonna avesse altre due sorelle: una a Caupo e una a Pedancino. (15)
Alla mezzanotte precisa, tra il 24 e il 25 marzo(16) di ogni anno, accadeva il miracolo: la Madonna di Pedancino attraversava la campagn, giungeva alla sorella delle scalette e con essa partiva per far visita a quella di Caupo.
Anche un folto corteo di essere misteriosi biancovestiti e con lumini accesi avrebbe accompagnato, secondo alcuni, quella visita prodigiosa.(17)
Con un rito che ancor oggi trova devoti prosecutori, ogni anno, la stessa notte, alla stessa ora, i nostri avi si recavano a l capitello delle scalette in raccolta preghiera.
Ai piedi della scala si giravano verso la campagna, recitavano l'Angelus e rimanevano in attesa scrutando l'oscurità.
Accanto al primo gradino, alla base del muricciolo di cui ho già parlato, ve erano e v'è tuttora, un grosso sasso tondeggiante, incavato da abile scalpello e munito, fino a un certo tempo, di protezione con chiusura.
Qualcuno accompagnava il suo atto di fede deponendovi un obolo, alla maniera di altri pellegrini e di passanti occasionali prima che il coperchio scomparisse senza che la memoria ne possa render conto.(18)
Lungo la strada vecchi passa oggi un traffico veloce e l'antichissima via che tagli o per il Canalet è periodicamente invasa da erbacce e rovi.
A San Nicolò sono rimasti in pochi.
Le vigne sono diventate boschi e il capitello pare isolato da un silenzio più profondo, anche se non è dimenticato.
Alla Vergine non accorrono più i contadini elevanti preghiere per i raccolti dei campi; ma i bisogni sono solo mutati.
Assicuratisi il cubo per altre provvidenziali vie del progresso, i fedeli di questa fine tormentata di secolo, il 31 di maggio di ogni anno salgono ancora a lei dal paese; vi si raccolgono intorno meno numerosi, ma non meno devoti, e ne chiedono l'aiuto per quelle mille cause di ansia e di inquietudine che travagliano l'odierna esistenza.

Giuseppe Toigo




Note
  • 1) A. VIGNA, Fonzaso, 1965, pp.95-96
  • 2) Sono molto perplesso sull'esistenza della C che, peraltro, appare evidente in fotografia con il gioco delle ombre. Essa sarebbe, comunque, l'iniziale di Confine. L'abbreviazione, F.so, sta per Fonzaso. RIPOSTO ha valore figurato: non si riferisce propriamente al sasso, ma al confine e assume il significato di espressioni come questa: ''ridefinito il confine''.
  • 3) Cfr. REGINA CANOVA DAL ZIO, I capitelli di Arsiè, Fonzaso, Lamon, Sovramonte, Vicenza, 1979, pp. 108-109.
  • 4) Relazione di F. Salomon, 30 aprile 1636, in Relazioni dei Rettori Veneti, ecc. , p.399.
  • 5) Vedi: Per il Comun e Uomini di Faller … contro il Comun e Uomini di Fonzaso, sentenza del 1557, Arch. Parr. di Faller.
  • 6) Sentenza compromissaria tra le Comunità di Lamon e Faller, Faller e Fonzaso, Fonzaso ed Arten in punto di riconfinazione de' rispettivi Beni, 27 settembre 1805, Arch. Parr. di Faller.
  • 7) Funzione di ripartizione delle proprietà tra abitanti di due comunità civili, non religiose; di borghi limitrofi, quindi, non di parrocchie. Alla stessa maniera è capitello di confine quello del Canalet e può considerarsi tale il Cristo de' Art sul M. Avena. A confine tra Arten Caupo c'era, un tempo, una croce ora scomparsa.
  • 8) Estimo 1717, Arch. St. Com. di Felte.
  • 9) Per le norizie qui riportate si confrontino I registri anagrafici dell'arch. parr. di Fonzaso, Visitationes CXXXIV, 1888, f. 197 r. e v. in Arch. Curio Vesc. di Padova e Atti relativi alla istituzione dellInstituto elemosiniere e Compenetrazione di questo colla Congregazione di Carità, 1856-1868, A. C. F. .
  • 10) La particella contrassegnata con il mappale 192 appartenente al Beneficio della Chiesa di S. Nicolò fino al 1773. Con la morte del priore don Antonio Gaio, avvenuta nello stesso anno, il vescovo di Padova ne decretò l'abolizione e l'incorporazione nel Beneficio parr. di Fonzaso.
  • 11) Per maggiori notizie cfr. : G.TOIGO, La Madonna delle Grazie di s. Nicolò di Arten, ''El Campanon'', 1987 nn. 67-68, p.10 segg.
  • 12) Baghe ovvero pelli di animali.
  • 13) Dopo il penultimo restauro del 1960, circa, (un precedente era stato fatto nel 1928, l'ultimo nel 1985 a cura di Brentel Giuseppe e Toigo Emma per una loro devozione privata) le scritte sui muri divennero via via più rade fin quasi a scomparire, non solo per l'invio alla buona educazione esposta a grandi lettere, ma per il mutare della vita e dei costumi. Il penultimo intervento, favorito dal parroco son Tarcisio Rosin, ha avuto il demerito di aver ricoperto con pannelli truciolari l'originale travatura, che poteva essere o sostituita o rimessa a nuovo. Sarebbe auspicabile che Toigo Angelina ''Tripoli'', che attualmente accudisce l'edicola, riuscisse a farsi promotrice di un lavoro di ripristino o di rifacimento del tetto, così com'è avvenuta per la Madonna di S. Nicolò.
  • 14) Aggiungo qui un nota, per non frammentare il racconto, che tradizionale custode del capitello, per oltre mezzo secolo, è stata Elvira Toigo, la quale, alla soglia dei novant'anni, lo visita ancora ogni giorno. Prima di lei lo era stata Angela Zanin, sua suocera e mia nonna, che ne aveva presi cura quando era entrata sposa in quella famiglia dei Toigo che da sempre avevano lavorato le terre di S. Nicolò prima e di S. Maria di Fonzaso poi.
  • 15) Verso la Madonna di Pedancino, i fedeli di tutta la conca del Feltrino occidentale nutrivano una particolare devozione. Annualmente, il diciotto d'agosto, anche quelli di Arten si riunivano in folto gruppo, alle prime luic dell'alba, con zoccoli e calzature contadinesche ai piedi. Percorrevano, orando, i quindici chilometri di strada dissestata, attraverso Rocca e Incino e scendevano al santuario di Cismon dentro il quale scioglievano il nodo dei loro fardelli ricolmi di incondizionata fiducia nel cuore di quella Vergine che si diceva essere stata trovata sopra il lieve ricamo dei fiori d'un biancospino.
    Il ritorno avveniva lo stesso fiorno, spesso a tarda sera, con quella composta serenità dell'animo che compensava lo scarso ingombro della polenta e companatico messi nella sacca come cibo della giornata.
  • 16) Il 25 marzo ricorre la festa dell'Annunciazione.
  • 17) Per conoscere un'altra variazione di questa leggenda, si veda: G. TOIGO, Croci e Capitello di Arten. ecc., ''El campanon'', nn.69-70, 1987 p. 14.
  • 18) Nella scanalatura dell'incavo è infisso ancora un cardine.